La Sentenza Cannabis Light: Perché non è Finita

31/05/2019

La Corte di Cassazione – con una sentenza diffusa nel pomeriggio di ieri - ha stabilito che “la vendita dei derivati della cannabis”, in particolare “foglie, inflorescenze, olio e resina ottenuti dalla coltivazione” rappresenta un reato. Sull’onda emotiva e di sensazionalismo che questo novità ha scatenato tra gli addetti all’informazione, specie ad una lettura veloce e non approfondita del testo, i media italiani hanno amplificato questo messaggio approssimativo e incompleto, intimorendo così tutti coloro che hanno deciso di investire nell’apertura di negozi e nella commercializzazione di prodotti naturali a base di canapa. Tutto questo senza considerare l’ultima frase espressa dalla sentenza stessa, che – di fatto – capovolge completamente quando affermato con grande clamore dai tg e dai giornali nazionali.  I prodotti a base di canapa non possono essere commercializzati e costituiscono reato “salvo che tali prodotti siano privi di efficacia drogante”.

Per citare testualmente le parole della sentenza: “le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”.

Ora che cos’è il potere drogante e come si misura?
La soglia da rispettare è – ancora una volta – quella del THC (principio attivo che determina l’effetto psico-attivo, che potremmo definire come “drogante”) che non deve superare lo 0,2%. Un limite già ampiamente rispettato dalla cannabis light commercializzata nei negozi e nei grow shop dedicati.

La Sentenza Cannabis Light: il Testo della Cassazione al Setaccio


In Italia, infatti, la regolamentazione di questo settore è stata introdotta nel 2016 con la legge 242, che – nei commi 5 e 7 dell’articolo 4 – recita:
“5. Qualora all'esito del controllo il contenuto complessivo di THC della coltivazione risulti superiore allo 0,2 per cento ed entro il limite dello 0,6 per cento, nessuna responsabilità è posta a carico dell'agricoltore che ha rispettato le prescrizioni di cui alla presente legge.”
“7. Il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa impiantate nel rispetto delle disposizioni stabilite dalla presente legge possono essere disposti dall'autorità giudiziaria solo qualora, a seguito di un accertamento effettuato secondo il metodo di cui al comma 3, risulti che il contenuto di THC nella coltivazione è superiore allo 0,6 per cento. Nel caso di cui al presente comma è esclusa la responsabilità dell'agricoltore.”

Cosa è cambiato quindi? Di fatto sembrerebbe nulla, ma come sempre molto è lasciato alla libera interpretazione e - ancora una volta - a decidere caso per caso saranno i giudici (e non i politici). In breve, se un negoziante riesce a dimostrare che i prodotti che vende non provocano effetti droganti, sono indenni. A questo punto, non resta che appellarsi al buon senso (ma anche alla preparazione e alla competenza) di chi effettuerà i controlli, nella speranza che tutto sia effettuato secondo le procedure e gli standard fissati e che il settore della canapa – uno dei più attivi al momento e in grado di contribuire alla crescita economica del Paese – non vada…in fumo!

 

Qui i ltesto originale della Cassazione

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Informazione provvisoria n. 15 del 30 maggio 2019

Questione controversa:

Se le condotte diverse dalla coltivazione di canapa delle varietà di cui al catalogo indicato nell'art. 1, comma 2, della legge 2 dicembre 2016, n. 242, e, in particolare, la commercializzazione di cannabis sativa L, rientrino o meno, e se sì, in quali eventuali limiti, nell'ambito di applicabilità della predetta legge e siano, pertanto, penalmente rilevanti ai sensi di tale normativa

Soluzione adottata:

La commercializzazione di cannabis sativa e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell'ambito di applicazione della legge 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell'art. 17 della direttiva 2002/53 CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati; pertanto, integrano il reato di cui all'art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990, le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante.

Riferimenti normativi:

legge 2 dicembre 2016, n. 242, artt. 1, 2, 3, 4; d.P.R., 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73".

Il Presidente